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Cles, 1 luglio 2011 I referendum sono stati lo spartiacque fra un prima ed un dopo. Come lo fu nel 1974 il referendum sul divorzio. Si é fatta potente, certamente diffusa, forse persino maggioritaria una nuova cultura, una cultura che individua dei “beni comuni dell’umanità” e, in quanto tali, che non possiamo considerare “merce” ne utilizzare per ricavarne profitto e che, pertanto, debbono essere gestiti in forma esclusivamente pubblicistica e in nessun caso in forma privatistica. Oggetto dei quesiti referendari sono stati la gestione delle risorse idriche, il rifiuto di centrali nucleari, il diritto ad una giustizia uguale per tutti. Limitandoci ai quesiti relativi alle risorse idriche, è bene sottolineare che il positivo (entusiasmante) risultato referendario non è un punto di arrivo ma il punto di partenza per un lungo e per niente scontato processo di ripubblicizzazione di questi servizi in Italia e (con le diversità che conosciamo) in Trentino. Invero, la Corte Costituzionale per approvarli, li ha configurati in modo che essi, se vinti come sono stati vinti, possono solo fermare la privatizzazione obbligatoria dei servizi pubblici locali (precisiamo: non solo dei servizi idrici) e riaprire spazi per avviare processi di vera ripubblicizzazione, ma, proprio per come sono stati configurati, non impediscono l’affidamento della loro attuale e futura gestione a SpA a capitale misto pubblico-privato o totalmente pubblico. Questo anche in Trentino. Di conseguenza, anche in Trentino, c’é chi sostiene che l'affidamento di un servizio ad una SpA mista con maggioranza di capitale pubblico oppure con capitale al 100% pubblico, se vengono introdotte norme sulla vigilanza e sulla direzione, equivalgano ad una gestione effettivamente pubblica. E’ di contro nostra convinzione che sulle SpA a capitale totalmente pubblico e, a maggior ragione, su quelle a capitale misto pubblico privato, in quanto oggettivamente entità private soggette al diritto commerciale, il controllo pubblico risulti impossibile o illusorio, non esista la minima certezza che una maggioranza o la totalità di capitale pubblico in una SpA garantisca di orientarne l'attività verso i fini sociali propri del servizio idrico, anche una SpA nata totalmente pubblica non possa aprirsi al capitale privato anche nel caso che il loro statuto lo neghi dato che le norme statutarie sono sempre modificabili senza contare che in alcuni casi questa apertura è addirittura prevista nelle stesse norme statutarie (per fare un esempio, l'Azienda Intercomunale Rotaliana SpA). Che fare, dunque? La riforma istituzionale del 2006 stabilisce che le Comunità di Valle abbiano competenza in materia dei servizi pubblici locali. Le loro assemblee, pertanto, potranno decidere come organizzarli scegliendo tra le forme teoricamente possibili (imprese private, SpA miste, SpA 100% pubbliche, gestione attraverso enti di diritto pubblico). E’, di conseguenza, a nostro parere, utile ed opportuno che le amministrazioni comunali dichiarino i servizi pubblici di loro competenza (e certamente i servizi idrici) come servizi di interesse generale, privi di valenza economica e sottratti, quindi, alle regole del mercato. Le tariffe dovrebbero coprire i costi di esercizio ma non necessariamente quelli di investimento (i quali, al bisogno, potrebbero essere a carico della fiscalità generale) e gli eventuali utili essere rigorosamente e tutti impiegati nel settore. La nostra provincia, oltre ad ogni altra considerazione, ha risorse finanziarie sufficienti, se ha la volontà politica di farlo, per produrre i servizi pubblici come forma importante di redistribuzione sociale. Ricordiamo infine che gli usi civili sono solo una parte del problema della gestione dell'acqua e che dovrebbe essere attentamente valutata la ripartizione della risorsa idrica tra i differenti usi (in agricoltura, nell’industria, etc.) e la criticità di alcune tipologie di utilizzazione (compatibilità, quantità, verifica dei canoni d'uso, relazioni con l'inquinamento, danni agli ecosistemi, etc). L'acqua, infine, non è l'unico dei beni comuni che sono a rischio di un loro uso contrario al benessere ed alla dignità degli uomini. Anche in Trentino, concludendo, sono a rischio altri “beni comuni”: l'integrità del territorio e degli ecosistemi, la qualità dell'aria, l'accesso ugualitario all'energia, la fruizione di molti beni comuni non materiali (i saperi, la scuola, la ricerca, la formazione, etc.). Comitato Acqua Bene Comune Valle di Non
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