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Trento, 14 dicembre 2014 Sono stato all'assemblea a Novaledo, promossa dal comitato locale, per ascoltare il tema proposto dal professor Corti, relativamente alle centrali a biomasse. Condivido l'analisi che ha fatto il professore, in merito al combustibile che tale centrale dovrebbe bruciare per produrre energia elettrica e termica a servizio dell'azienda Menz e Gasser. Ma, vorrei qui riflettere su alcuni aspetti in generale su queste centrali. La centrale a biomassa può, in via generale, bruciare combustibili solidi di varia provenienza e proprio qui è il nocciolo della questione. Se parliamo di materiali di tipo legnoso, abbiamo combustioni che provocano emissioni di CO2 e di particolato vario che hanno determinate caratteristiche in termini qualitativi e quantitativi come metalli pesanti e diossine molto contenute; chiaro che, in casi specifici come la Valsugana, ove le emissioni generali sono già oltre i limiti accettabili, calare un ulteriore fonte di emissione che può essere paragonata all'incremento di traffico di circa 50.000 vetture al giorno, risulta insostenibile. Però, voglio anche sollevare un'altra questione delicata, che mi lascia molto perplesso su queste tipologie di impianti. L'ex ministro all'ambiente Clini (ora agli arresti domiciliari, sic!) ci ha lasciato in eredità un fardello pesantissimo che ha aperto la strada a combustioni di «biomasse» che definire anomale è un eufemismo. Mi spiego meglio: il residuo dei rifiuti, quello che resta dopo la raccolta differenziata, può essere trattato per creare un prodotto noto come CSS (combustibile solido secondario); ebbene, dopo questo trattamento, il CSS non è più rifiuto, ma diventa biomassa, naturalmente per decreto. Da qui, il collegamento con le centrali a biomassa è presto fatto. Guardando in prospettiva è plausibile capire che, stando su una centrale come quella proposta a Novaledo che brucerà 600 q.li/giorno, localmente non sarà sempre possibile soddisfare l'approvvigionamento del combustibile legnoso per il semplice fatto che il legno ci mette più tempo a ricrescere che a bruciarlo; quindi, la logica conseguenza sarà che, tali tipologie di centrali, con modesti ulteriori investimenti, potrebbero essere convertite ad altre «biomasse», quali proprio il CSS. Il risultato potrebbe essere che ci troveremo ad avere piccoli inceneritori sparsi sul territorio, legittimati da un decreto che ha elevato a biomassa ciò che, invece, di biologico non ha nulla. Ma la conseguenza ancora più grave è nel fatto che, queste tipologie di centrali/piccoli inceneritori, non sono soggetti alla stessa tipologia di controlli di un inceneritore tradizionale che brucia rifiuti, bensì hanno parametri di controllo molto più permissivi. Marco Ianes |
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