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Trento, 17 ottobre 2007 L’onere del rilascio delle concessioni idriche a scopo idroelettrico è finalmente in modo definitivo competenza della Provincia Autonoma di Trento, ovvero in prospettiva delle Regioni. Probabilmente stiamo percorrendo una strada che in futuro potranno seguire anche le Regioni ordinarie: gestire da se una risorsa diffusa e preziosa, magari riuscendo a ricavare tornaconti diretti anche per quei territori, marginali e poveri, ai quali è stata sottratta la risorsa primaria e fino ad oggi indennizzati in quantità irrisoria. Poter finalmente recuperare alla vivacità ambiti vallivi depauperati, che oggi tornano ad essere oggetto d’attenzione per la insostenibilità ambientale e sociale degli ambienti urbani, più grandi e più invivibili, quei luoghi che inseriti nello sviluppo industriale del secolo scorso sono stati attrattori di popolazione, scappata dalle campagne ed oggi spaesata, disposta al ritorno, ma ormai priva di identità e/o radici culturali in cui prevale la nostalgia. L’entità ed il valore da gestire è grande e delicato, fragile come il tagliare il ramo su cui si poggia, importate come il soddisfare la necessità di stare meglio. Il primo idroelettrico industriale è stato realizzato per dare alla collettività la luce pubblica, tutto sommato sempre con uno stretto rapporto di pertinenza tra luogo di approvvigionamento, luogo di produzione e luogo di consumo. Poi la stagione dello sviluppo idroelettrico industriale produttivo; l’esportazione di energia elettrica ed umana, dall’acqua l’energia elettrica e nelle fabbriche gli operai, ex contadini, molti in abbandono della montagna. Oggi, l’opportunità d’avvio di un percorso, sicuramente lungo negli anni, per il recupero della qualità, a noi il rinnovare le concessione per i grandi prelievi idroelettrici in un difficilissimo rapporto tra esigenze locali, opportunità di cassa, forti potentati lobbistici e debolezze locali. Il Piano Generale di Utilizzazione delle Acque Pubbliche (Pguap) già in vigore su presupposti moderni, base giuridica per lo stesso rinnovo delle concessioni idroelettriche, è un ottimo punto di partenza che però non considera adeguatamente gli usi plurimi della risorsa acqua in determinati contesti. Un esempio: la cascata come quella del Nardis, da sola, richiama la frequentazione turistica per una intera valle, un valore che oggi non misuriamo e che non può essere salvaguardato da una norma come quella sul dmv. La pesca per certi territori è motore di richiamo turistico, così come gli sport d’acqua viva: pensate cosa significa il mondo della canoa e del rafting in Val di Sole: 5 compagnie di navigazione, circa 50 addetti dei quali la metà con un mestiere di prestigio, 600 mila Euro all’anno di fatturato diretto ed un fatturato complessivo, tra indotto in loco e fuori valle, di 2 milioni di Euro. Una azienda di medie dimensioni collocata nelle valli periferiche che distribuisce benessere e ricchezza in modo diffuso e non ristretto a pochi, che usa le risorse naturali senza comprometterne le caratteristiche in quanto queste sono la motivazione stessa, il motore, del loro sfruttamento turistico-sportivo; serve solo dare modalità d’esercizio compatibili con l’ambiente e la società, ovvero negoziare i conflitti d’interesse in modo virtuoso. Situazioni che la riduzione significativa d’acqua a scopi idroelettrici comprometterebbe nuovamente, aspetti che l’attuale Pguap trascura. È necessario avere la consapevolezza che il settore idroelettrico ha goduto delle innovazioni tecnologiche di ultima generazione in modo molto limitato (telelettura e comandi a distanza), tutta l’impostazione dello sfruttamento idrico è concettualmente dei primi del novecento, le realizzazioni sono mediamente degli anni cinquanta ed il sistema monopolistico della produzione e della gestione elettrica italiana non ha certamente incentivato alla ricerca e alla innovazione del settore, che invece potrebbe evolversi con potenziali elevati, si stima a cura degli addetti di settore una potenzialità di miglioramento dei sistemi di produzione sulla base delle tecnologie disponibili nell’ordine del 5-20%. Ma sappiamo che sollecitati da bisogni importati i progressi diventano significativi: fattore da 1 a 6. Possono riguardare i processi produttivi, i tempi di funzionamento delle centrali (perché perché l’idroelettrico è utilizzato per i momenti di punta e non con portate in continuo?), gli elettrodotti che perdono il 30% dell’energia trasportata, la stessa impostazione localizzativa e gestionale degli impianti, ovvero ricondurre a maggiore vicinanza i consumi e le produzioni. Gli attuali margini di guadagno degli investimenti nell’idroelettrico sono nell’ordine del 25% del fatturato prodotto, ovvero un impianto è ripagata nel giro di 6/8 anni, dopo di che esso porta solo guadagni. Da ciò emerge che gli attuali prelievi possono venire ricondotti a entità meno degradanti l’ambiente e i territorio, con conseguenze positive sulla capacità depurativa dei corsi d’acqua; pensate se al mare arrivano acque pulite anziché gradevoli come oggi, chi ne ha un ritorno positivo è in generale l’ambiente e più direttamente le popolazioni rivierasche che con il degrado dell’acqua marina vedono compromesse le loro prospettive di assetto economico. Il guadagno è per l’intero territorio, serve però, in termini generali, una politica energetica più attenta di quella attuale, impostata sull’oculatezza dei consumi, non sulla valutazione dell’incremento come fattore di benessere. Attenzione comunque che il sistema della tassazione frutto degli accordi di Kyoto ed in fase di introduzione per le produzioni di CO2 rischia di vedere crescere solo le compensazioni (idroelettrico) non la riduzione dei consumi di fonti fossili, quindi più idroelettrico e meno naturalità. Un allarme che riguarda il ruolo stesso della Provincia Autonoma di Trento: essa è controllore o parte interessata a fare cassa? Fulvio Forrer |
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