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Trento, 15 febbraio 2010
In memoria di Marta Losito a due anni dalla morte
(2 marzo 2008)

di Vincenzo Calì

Marta era una di quelle rare persone con cui non era necessario scambiare molte parole per raggiungere il nocciolo delle questioni; ciò derivava da un' esperienza di vita ricca, da una conoscenza della scienza politica che aveva affinato attraverso studi sociologici originali, e dall'aver attraversato con il suo passo leggero la lunga stagione dei movimenti, portando un originale contributo all'inizio degli anni settanta al processo di emancipazione femminile, con il gruppo trentino del “Cerchio spezzato”. Nel ricordo di lei che stendemmo il giorno della sua scomparsa, e sono già trascorsi due anni, si accennava al fatto che non sarebbero mancate occasioni per ricordare l'impegno di Marta Losito nei diversi campi in cui si è distinta, e una di quelle si presenta oggi, in attesa di assistere alle iniziative in programma su Mauro Rostagno, "l'uomo vestito di bianco", il leader studentesco ucciso dalla mafia il 26 settembre del 1988 al cui funerale lei non aveva voluto mancare (Marta dedicò a Mauro, nel 1998, sul quindicinale "Questotrentino", un ricordo vivo, non di circostanza).

Del suo ruolo di educatrice, possono essere buoni testimoni i tanti studenti che hanno avuto la fortuna di dialogare con lei nelle aule e lungo i corridoi del palazzo di Via Verdi (perchè di dialogo sempre si trattava per Marta, e non di imposizione dall'alto di un sapere indiscutibile); ciò era il portato di una lunga pratica di sperimentazione didattica, che ci vide allora, noi precari, tutti coinvolti, maturata lungo gli anni settanta ma che traeva origine dall'impostazione critica del sapere fatta propria nella stagione dei movimenti a cui già abbiamo fatto cenno.

Il suo agire politicamente non era frutto di improvvisazione, di pragmatismo contingente, ma si reggeva su di un solido retroterra di pensiero: il suo contributo alla sociologia è stato sottolineato da Renzo Gubert, a dimostrazione del fatto che di fronte alla sincera passione per la libera ricerca cadono anche le contrapposizioni ideologiche: i testi da lei curati ci parlano della sociologia politica in Italia, del rapporto fra Croce e la sociologia, e soprattutto di Max Weber e della sua recezione in Italia; a quest'ultimo filone weberiano, seguendo il quale aveva potuto conoscere ed apprezzare la scuola di germanistica messa in piedi a Trento da Paolo Prodi, Marta era particolarmente attaccata. Si tratta, sulla base dei suoi studi, di un approccio alla scienza politica che non fa sconti agli improvvisatori di turno: da qui l'amarezza con cui, dopo un periodo intenso di partecipazione alla vita politica cittadina, come consigliera comunale di Trento, decide di abbandonare, preso atto dell'ampio solco che separava il pensiero politico a cui si ispirava (autenticamente ambientalista, da cui la collaborazione con i verdi di Marco Boato) dalla prassi che vigeva nel consesso istituzionale di cui era entrata a far parte. Della profondità di analisi della politica municipale della città capoluogo ci ha lasciato uno studio, "Continuità e cambiamento della classe politica municipale a Trento dal 1946 al 1999" a cui a tutt'oggi dobbiamo ricorrere se vogliamo comprendere le ragioni profonde dei flussi elettorali cittadini.

L'interazione tra Università e città, ancora così distante da raggiungere trent'anni dopo la fondazione dell'Ateneo, fu uno degli obbiettivi della sua azione, e ciò è testimoniato dalla partecipazione attiva per un quinquennio alla direzione del Museo storico cittadino, proprio nel periodo del rilancio dell'associazione, e dalla promozione di eventi culturali che permettessero alla voce degli intellettuali di raggiungere un più largo pubblico risepetto ai tradizionali circuiti accademici.

Al maturare sempre più negli ultimi anni dei suoi interessi nel campo della psicanalisi, non sono stati indifferenti gli anni della formazione trentina (le lezioni di Franco Fornari in primis). Era anche per Marta, questo, un ritorno ad una passione antica, come ha ricordato Sergio Benvenuto sulla "Rivista italiana di gruppo-analisi": "Marta la conoscevo sin dagli anni '60, quando sia lei che io abitavamo a Napoli. Andavo talvolta a casa sua, anche perché ero amico del fratello Vittorio, allora "gigantesco" (in tutti i sensi) militante della sinistra napoletana e dell'avanguardia artistica... a casa Losito si parlava sempre di cose "alte" - di politica, di arte, di letteratura, di cinema, del buddhismo zen, di Freud... - e Marta era da tutti ammirata per il suo coinvolgimento e la sua severa bellezza... Più che sociologa, si sentiva psicoanalista, come doveva sentirsi analista una signora viennese dell’inizio del Novecento, Lou Andreas-Salomé per esempio. Praticava come analista non per avidità professionale, ma come attività ad un tempo elevata e caritatevole. Sentiva la dignità direi storica del lavoro di analista, come parte di una tradizione mitteleuropea di cui si sentiva parte ed erede, e di cui era fiera".

E l'attenzione ai movimenti è l'aspetto dell'attività di Marta che infine vorrei ricordare: le battaglie nel movimento di emancipazione femminile, le prime esperienze degli anni sessanta, la campagna per la difesa della legge sul divorzio e quella contro gli aborti clandestini (sono gli anni in cui si crea un sodalizio fra Marta e la sociologa della famiglia Chiara Saraceno); questi, tutti aspetti della nostra storia, sono raccolti nel Centro Mauro Rostagno del Museo storico, grazie all'apporto documentario del collettivo femminista trentino nato nel 1969 (la comune di via Belenzani) in cui Marta Losito aveva avuto un ruolo di primo piano che, per il suo carattere schivo, non rivendicava. Riguardo a quella storia antica, Marco Boato, in un commosso ricordo della nostra amica, aveva osservato che Marta " evitava occasioni pubbliche rievocative, rifiutava garbatamente ma fermamente di essere intervistata come una protagonista (e lo era stata realmente) dei movimenti collettivi degli anni ’60 e ’70 (fino ai Verdi degli anni ’80), preferiva parlare di quel suo e nostro passato solo nelle relazioni amicali e interpersonali".

Ma sono ancora le parole di Sergio Benvenuto che possiamo ritenere per Lei la migliore epigrafe : "Con lei scompare un membro di una generazione - a cui io stesso appartengo - che è stata ingenuamente, deliziosamente idealista. Una generazione che non ha affatto cambiato il mondo, ma che almeno ci ha provato. Non a caso, la sua carriera universitaria è rimasta marginale: una come lei, intrisa di idee e di ideali, era come pesce fuor d’acqua nella mediocre e burocratica macchina accademica, che prevale anche negli atenei migliori. L'importante per lei non erano la carriera i media e il danaro, ma la partecipazione personale, disinteressata e commossa alla Comunità delle Idee".

Vincenzo Calì

 

      

Marta Losito
Marta Losito...
Marta Losito
nel movimento
studentesco e
...
Marta Losito
alle riunoni del "Cerchio spezzato"
(1971)

 

vedi anche :

"MARTA LOSITO:
se n'è andata
con un pezzo
della nostra storia"
di Marco Boato

 

   

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