archivio generale articoli, lettere, comunicati e interviste dalla stampa | ||||||||||||||||||||||||||
ANNI: |
|
|||||||||||||||||||||||||
|
Trento, 22 dicembre 2012 E alla fine ci penserà la natura. Stufa «rigurgiterà» il sangue delle violenze subite e vissute sulla propria pelle e si ribellerà. O forse lo sta già facendo. Sandro Boato cerca di interpretare questa visione attraverso una raccolta di poesie, «Da Troia a Sarajevo: recital 1989 - 2011», (litografia Amorth, 2012), una trentina di componimenti che «costituiscono forse più una protesta - commenta l’autore, nella breve introduzione - che una fonte di piacere letterario». E la voce di dissenso si fa ancora più forte quando la solidarietà umana, secondo Sandro Boato, in questo periodo di crisi scarseggia, per riaccendere una poesia civile che, sempre per l’autore, sembra scomparire come categoria. Con delle strofe lapidarie ed un ritmo quanto mai espressivo l’autore attraversa gli ultimi vent’anni di storia travagliata da conflitti e violenze che attanagliano la nostra contemporaneità. Una silloge che Boato definisce «non preordinata», ma una serie di sensazioni, stimoli, reazioni che offrono molti spunti di riflessione a chi sa coglierne il significato tra le righe. Un avvio inconsapevole dovuto all’autodistruzione bellica dell’ex Jugoslavia con il suo «orrendo miraggio della pulizia etnica». Sullo sfondo il drammatico suicidio di Alexander Langer. E se l’evocazione di Troia nasce dai due riferimenti nei testi di «America 2001» (Di nuovo / il cavallo di Ulisse / Troia distrusse / e il signore tornò / ramingo) e «Basta!» (Avanza il carro armato / alle porte di Troia), la città di Sarajevo, capitale della Bosnia Erzegovina, è il simbolo di una convivenza dei diversi, una ricchezza umana aggredita dalle armi serbe e dai generali e miliziani serbo-bosniaci per oltre tre anni. Come fonte Boato usa informazioni vissute in tempo reale o percepite attraverso fonti attendibili, in questo modo ha voluto poetare di una «Guerra chirurgica» (dove esplosivo / bisturi calerà) ma anche delle stragi di casa nostra come quella dei «Sopravvissuti di Capaci» (fosse sogno il cratere che inghiottì / i cavalieri dell’Apocalisse / il fragore del tuono / il fulmine guidato), dei bambini morti sotto le macerie di san Giuliano di Puglia nel 2002, ma anche delle donne africane di cui l’autore parla in «8 marzo africano» (un nemico comune al nemico / disarmata, sprezzata, stuprata / è la donna, a subire costretta / rancore senza amore). Chiudendo il cerchio è la natura che, secondo Boato, si sta preparando a liberarsi e «ripartire». Uno Tsunami che mette in scena una nuova «danza macabra», da una parte l’albatros che soccombe nel petrolio, per poi rinascere in un aquila che veleggia nell’orizzonte. E dopo? «Breve fu la tempesta / ma è la bonaccia / l’insidia spiega l’autore, i tempi sembrano ormai maturi perché qualcosa ricordi all’uomo quanto sia debole la sua finitezza.
|
| ||||||||||||||||||||||||
© 2000 - 2022 |
||||||||||||||||||||||||||
|
|