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Trento, 6 gennaio 2001 La scelta del "che fare" dell’area industriale dismessa ex Michelin rappresenta una questione cruciale per l’intera città, e forse anche per l’intero Trentino, perché essa riguarda una possibile svolta urbanistica-ambientale per i prossimi cento anni almeno, e non per la breve vita di un piano regolatore o di una generazione – e una svolta pare necessaria non solo nella città capoluogo. "Ci furono tempi – ricorda Vaclav Havel in questo passaggio di millennio – in cui il profitto materiale non rappresentava il valore assoluto, in cui gli uomini erano consapevoli dell’esistenza di misteri inspiegabili ai quali si poteva solo guardare con umile meraviglia per poi forse proiettare questa meraviglia in strutture dalle guglie svettanti", come le antiche cattedrali europee e la stessa torre gotica di san Venceslao, simbolo di Praga. Al di là del Duomo romanico-gotico, del Castello del Buonconsiglio, del Parco di Gocciadoro – Trento mostra oggi ben pochi segni rilevanti del suo essere città storica, avendo assediato con l’edilizia e le strade sparse ovunque perfino i tre dossi della Tridentum romana: doss Trento, doss sant’Agata, doss san Rocco. Sostiene al proposito l’architetto spagnolo-catalano Joan Busquets – relatore al convegno "La città e il fiume" (1-2 dicembre 2000) su recenti impegnative realizzazioni di "disegno urbano", a Barcellona e a Màlaga – che "Trento appare dall’alto come una città priva di idee", tale è il suo caos urbanistico, la indifferenziata occupazione del suolo, la assenza di una chiara forma urbis, nonostante la presenza del fiume e delle colline. L’area ex Michelin offre l’occasione unica di collegare il centro-città ed il fiume (a quasi 150 anni dal taglio della grande ansa che lambiva la città antica), non portando l’edificazione sul fiume – secondo gli esempi negativi dei lungadige Apuleio e Leopardi, nonché del recente condominio "finestra sull’Adige" –, bensì portando l’acqua e la vegetazione fino a ridosso della ferrovia, mediante la realizzazione di un parco urbano-fluviale. Si tratterebbe di una grande area verde (di almeno 10 ettari), paragonabile col tempo a quella di Gocciadoro (di circa 20 ettari) ed a quella designata e in progetto fra Trento-Nord e Gardolo (di 11 ettari), assieme alle quali costituirebbe il sistema-portante del verde cittadino, e che si caratterizzerebbe anche visivamente come cerniera o nesso visivo tra il centro-città e l’asta fluviale. Questo parco avrebbe un ruolo importante anche nel risanamento atmosferico del fondovalle urbano, nel consegnare alle generazioni future una preziosa macchina naturale produttrice di clorofilla – e quindi divoratrice di anidride carbonica, componente principale della nuvola inquinante (smog) ormai stabilmente "appoggiata" fra Mattarello e Gardolo; ed un ruolo inoltre di stimolo al disinquinamento dell’Adigetto e delle rogge interconnesse, condizione per l’utilizzo ecologico, ricreativo e turistico delle loro acque. L’area verde – che potrebbe estendersi anche fuori del sedime ex Michelin, sia verso sud (fino a una superfice di oltre 14 ettari complessivi), sia verso nord (includendo il palazzo delle Albere ed il campo sportivo Briamasco) – permetterebbe una relazione con l’attività artistico-culturale delle stesse Albere: si pensi alla scultura en plein air (all’aperto) delle piazze di Barcellona e di Amsterdam; ai percorsi, spazi pedonali e ciclabili, attrezzature ricreative della nuova Ruhr, divenuta un immenso parco regionale; alle esperienze di "arte-natura" attuate anche in Trentino. Il concorso di idee promosso da Iniziative Urbane – per un nuovo assetto dell’area in questione (1999/2000) – non è carente dunque solo perché ha coinvolto soltanto tecnici professionisti e limitatamente all’ambito provinciale, ma soprattutto perché ha ridotto sostanzialmente a un problema edilizio quello che è anzitutto un grande tassello del mosaico cittadino, del futuro urbanistico-ambientale di Trento. Se l’obiettivo principale è – come dichiarato da due sindaci in successione – recuperare il fiume alla città e migliorarne la qualità ecologica –, se si vuole davvero un parco fluviale in connessione col centro-città (sull’esempio di tante città europee, ed in particolare della vicina Bolzano), occorre che al lungadige sinistro, liberato dal traffico e dai parcheggi, si affianchi un’area verde unitaria di proporzioni assai più consistenti dei "fazzoletti" finora individuati, ed in particolare dei 3,75 ettari previsti ufficialmente "nelle carte" comunali (ordine del giorno dell’agosto 1998), già divenuti meno di metà nel bando di Iniziative Urbane. Se il futuro Piano Regolatore (o la sua anticipazione come Variante 2000) non vuole ridursi a una sommatoria di proposte del "possibile", se si vuole per una volta guardare al XXI secolo e mirare alto, dal punto di vista ambientale e culturale, questa è l’occasione da non perdere, a costo di rimettere in discussione un patto improvvido tra un Comune privo di strategia e di lucidità e un gruppo privato – detentore dell’area tutt’ora a destinazione industriale – che mira dichiaratamente al proprio esclusivo interesse finanziario. Ciò che manca in definitiva è la disponibilità del suolo da parte di un ente pubblico lungimirante, ovvero la lungimiranza di un gruppo di operatori che sappia attivarsi per una resa economica, non di breve ma di medio periodo, per una iniziativa naturalistica, ricreativa e culturale di grande scala, anche coinvolgendo in un serio do ut des altre aree urbane che stanno diventando disponibili, e pure ipotizzando una attrezzatura di servizio di grande rilievo in una parte marginale dell’area, quale la Biblioteca dell’Università o (se sostenibile) un Museo delle Alpi con specifica attinenza al sistema idrico, in connessione col parco fluviale stesso e col ruolo di Trento in quanto sede dell’Autorità di bacino dell’Adige.
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