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Trento, 7 febbraio 2002 La presentazione del "patto territoriale" intercomunale, relativo al monte Bondone, ed il dibattito sulle Viote al Museo tridentino di scienze naturali (cfr. L’Adige, 3 febbraio, in particolare), costituiscono l’occasione per affrontare alcuni problemi e risolvere qualche contraddizione, e per riproporre esplicitamente l’obiettivo del Parco del Bondone, in dimensione anche più ampia di quella delineata al convegno promosso dai Verdi il 16 giugno scorso. Quest’ultima proposta infatti, pur estendendosi ben oltre la riserva integrale delle Tre cime e la conca delle Viote, su una superfice di circa tremila ettari, non scendeva fino alle pertinenze di Sardagna e si limitava prudenzialmente al territorio comunale di Trento (e in parte di Garniga). L’ipotesi del parco naturale-culturale (convivente cioè con le attività umane tradizionali e con un turismo leggero – in quanto ecologicamente e socialmente sostenibili) è centrale e prioritaria già in questa fase, e non può limitarsi a fare capolino tra le righe dei documenti, ma deve concretizzarsi e consolidarsi per più ordini di motivi. Il Bondone è stato pubblicizzato e conosciuto prevalentemente per il suo utilizzo sciistico invernale meccanizzato e per la edificazione del versante nord-orientale lungo-strada. Si tratta di un modello turistico scadente e in crisi, che le modificazioni climatiche in corso contribuiscono a rendere non più proponibile. E’ in atto un tentativo di razionalizzazione e forse di riduzione degli impianti di risalita e – si spera – di contenimento dell’area sciabile; ma è necessario che non si presuma di "salvare il Bondone" concentrando ancora l’attenzione e l’impegno pubblico su questo solo versante. 1. Il Bondone è anche altro, una montagna abbastanza integra paesaggisticamente e con una economia sostenibile in altri versanti, ed in particolare nella conca delle Viote e nelle fasce forestali e prative sottostanti. Questo diverso e più autentico Bondone – con le sue risorse naturali (tra cui la Riserva integrale provinciale, una flora eccezionale ed una fauna ancora ricca e tutelata, il Giardino botanico alpino, il biòtopo-Torbiera, la foresta demaniale, la val di Gola), quelle architettonico-paesaggistiche (tra cui il complesso romanico di Sant’Anna, Castel Madruzzo e il suo intorno, alcune malghe e i due nuclei di caserme austro-ungariche) e le sue attrezzature-istituzionali (tra cui il Centro di ecologia alpina e il Giardino botanico alpino) – deve offrire la sua nuova caratterizzazione e la sua immagine autorevole e trainante alla gestione forestale, agricola, termale, escursionistica, turistico-sportiva, pedagogica, di studio e ricerca e al controllo territoriale e normativo. 2. L’Azienda forestale di Trento-Sopramonte, il Servizio parchi, biòtopi e foreste demaniali della Provincia, il Centro di ecologia, il Museo di scienze naturali, il Comune capoluogo e gli altri Comuni interessati (del Bondone e della Valle dei laghi) devono uscire dall’incertezza e promuovere l’entità responsabile, necessaria al loro stesso coordinamento nell’ambito di un progetto di parco, che stabilisca l’estensione e la delimitazione topografica, la articolazione in zone a normativa differenziata (con ai due estremi le riserve ed i biòtopi, e le aree di servizio più antropizzate), la sua gestione nel tempo a partire dalla selezione – per importanza e sostenibilità – della miriade di progetti locali ‘piovuti’ sul "patto territoriale". Senza di che, il patto rischia di vedere ridotta la sua efficacia, di perdere credibilità, di venir meno tra concorrenze e gelosie. 3. Rimane un punto particolarmente controverso, che può diventare la scusa per rinviare ogni decisione ed annullare l’obiettivo stesso del parco: lo sci da fondo alle Viote, che coinvolge un gran numero di utenti, con propensione prevalente ad un ambiente non inquinato e paesaggisticamente non degradato. "Relata refero" (cioè riferisco opinioni altrui), avendo consultato le istituzioni ecologiche coinvolte. Con alcune precauzioni urbanistiche e comportamentali – tra cui il non ampliamento delle piste stesse, la salvaguardia di un’area archeologica e forse di qualche altro lembo prezioso di suolo, lo spostamento delle attrezzature per il fondo e del parcheggio relativo a valle della strada di valico (vicino al rifugio Viote, ma senza interferire con le locali sorgenti) – una attività ben regolamentata di fondo può non ledere l’equilibrio pedologico-ecologico della conca. In conclusione, la città di Trento (e gli altri comuni interessati) ha una carta da giocare, vincente nei tempi medio-lunghi, rappresentata da un parco naturale a poco più di mezz’ora di distanza, un fattore di promozione turistica su un ampio ventaglio di offerte, lungimirante sulle incognite del futuro e non bisognoso di enormi investimenti, ma di iniziative articolate, sostenibili e coordinate. La Provincia, da parte sua, potrebbe cogliere lo spunto di un parco, con buone risorse ambientali e socialmente condiviso, che si delinea come un modello di sviluppo sostenibile, e quindi anche esemplare per altre zone ed altre regioni (come conferma l’essere oggetto di studio in un progetto Unione Europea-Ecomont) ma che non si realizzerà da solo, e che al contrario corre il rischio di perdersi nell’inazione politica e nella conseguente frustrazione delle diffuse aspettative. Sandro Boato
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