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Trento, 30 agosto 2008 Sullo “stile di vita” Ugo Morelli ha centrato opportunamente il suo corsivo del 28 agosto (Corriere del Trentino), per lamentare l’atteggiamento acritico e passivo verso lo stato dell’ambiente in continuo degrado e la responsabilità di chi si limita a guardare quanto succede. Qualche riflessione ulteriore può forse servire a sviluppare una discussione necessaria, a capire e far capire l’entità del problema più grande che abbiamo di fronte – qui e nell’intero globo. Il modello di sviluppo del XX secolo, fondato sullo sfruttamento senza limiti delle risorse naturali, è fallito, essendo la causa principale del surriscaldamento ed inquinamento del pianeta, che sta rendendo inabitabile l’Africa (non solo), riducendo le risorse d’acqua dolce già insufficienti, spingendo milioni di affamati, assetati e disperati verso i paesi ricchi dell’Occidente. Occorre dunque un cambio di rotta, se si vuol evitare o ridurre le conseguenze negative. A Kyoto nel 1997 era partito un tentativo di correggere le cause del cambiamento climatico da parte di tutti i paesi della terra, a partire dai più ricchi. Ma il presidente degli Stati Uniti, Bush, asserì che “non verrà toccato lo stile di vita americano”; seguirono poi i rifiuti della Cina e di altri paesi afro-asiatici, mentre l’Italia – nominalmente d’accordo – ha continuato a peggiorare la propria situazione e la Russia a svendere le grandi foreste siberiane. Tra i pochi virtuosi la Germania e la Scandinavia. In verità è lo “stile di vita” che va posto in discussione, per il bene dell’intera umanità e degli stessi americani. Occorre modificare i nostri bisogni, depurandoli da quelli indotti artificialmente, e ridurre proporzionalmente i consumi a quelli necessari. Tale riduzione migliorerebbe paradossalmente non solo la vita nei paesi poveri, ma anche quella dei troppo ricchi, dei troppo grassi, dei troppo stanchi, dei malati di stress e di depressione, dei terrorizzati dalle migrazioni per fame e stenti che hanno appena iniziato il loro cammino. Bisogna ridurre l’uso dell’automobile e dell’aereo, vietare i Suv dannosi e pericolosi, regionalizzare l’economia anche per limitare i Tir, ridurre gli sprechi enormi di acqua e di elettricità, utilizzare le fonti rinnovabili di energia, diminuire la massa dei rifiuti e non crearne di nuovi, conservare almeno le foreste originarie. Riassumendo in tre parole questa traiettoria sul piano culturale Alexander Langer, rovesciando il mito occidentale del successo, diceva: lentius, profundius, suavius (più lento, più profondo, più dolce). Serve per ciò un grande impegno sia delle istituzioni pubbliche e delle grandi aziende, sia dell’informazione, dell’associazionismo e dei singoli – chiamati tutti a una nuova apertura mentale, al rinnovamento culturale, alla responsabilità ecologica. Il tempo è poco. Sandro Boato |
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