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Trento, 20 settembre 2003 1 Sconfiggere l’ignoranza della storia è comunque più importante della stessa acquisizione di un testo in sé. Essa fa capire il significato nel tempo dei messaggi contenuti nei tre “libri”, in sequenza: la Torah ebraica (intesa come Antico testamento biblico), il Vangelo di Cristo e gli altri scritti del Nuovo testamento, il Corano, pure considerato dai suoi fedeli di ispirazione divina tramite l’arcangelo Gabriele, e per secoli indissolubilmente legato alla lingua araba. Lo stesso Signore comunque – lo si chiami Jahve, Dio o Allah – è il riferimento delle tre religioni monoteiste. 2 Per dare una misura del salto di civismo e di conoscenza tra la Spagna islamica (al-Andalús) – e al contempo ebraica e cristiana – nel nono e decimo secolo e il resto d’Europa, María Rosa Menocal, docente di spagnolo e portoghese alla Yale University (Usa), scrive che mentre “la biblioteca del califfato di Córdoba ospitava 400 mila volumi, la più importante della cristianità latina non superava presumibilmente i 400 manoscritti”. 3 Il libro – in cui Menocal racconta con passione e documentazione “un esempio di convivenza pacifica tra musulmani, ebrei e cristiani”, rappresentato da questa città (e da tutto lo stato iberico-islamico), massimo insediamento urbano dell’Islàm, insieme e in concorrenza con Baghdàd – si intitola Principi, poeti e visir (il Saggiatore, 2003), e restituisce agli europei ed agli stessi musulmani di qualunque paese un capitolo straordinario e quasi dimenticato della storia culturale e religiosa dell’area euro-mediterranea. 4 Il lavoro di Menocal mostra infatti come lo stesso Corano, brandito da alcuni come un’arma contro i ‘non-ortodossi’, abbia permesso l’instaurarsi della dhimma, cioè del rispetto reciproco fra i tre “popoli del libro” nella Spagna medioevale, con scambi culturali costanti, matrimoni misti, collaborazione operativa fino alla presenza di un ministro degli esteri (visír) ebreo, nel X secolo, e di un vescovo cristiano ( che parlava arabo e latino, oltreché il volgare ispanico di quel periodo) nel corpo diplomatico governativo. Citato quest’ultimo da Rosvita, dotta monaca sassone che, sulla testimonianza di lui, scrive una stupefacente descrizione di Córdoba – con settanta biblioteche, 900 bagni pubblici, molte migliaia di negozi, centinaia di moschèe, acquedotti ed acqua corrente, strade lastricate e illuminazione notturna –, definendola “ornamento del mondo”. 5 La disgregazione dello stato precedentemente unitario, iniziata per responsabilità del fondamentalismo berbero-maghrebino, ebbe il suo acme nei reyes católicos, Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, che con l’espulsione dalla Spagna, nel 1492, degli ebrei e dei “mori” – voluta dalla Chiesa romana – misero le basi del fondamentalismo ‘cristiano’ (ma si dovrebbe dire anticristiano) più ipocrita e feroce, della repressione anche degli obbligati a convertirsi, della inquisizione come strumento di governo e di controllo sociale, della successiva conseguente regressione culturale ed economica che renderà per secoli la Spagna un paese al margine dell’Europa. Ciononostante, secondo Menocal, i contenuti ed i valori profondi dell’esperienza trascorsa in al-Andalús penetrarono e si diffusero ovunque nel continente, per le strade più diverse, comprese quelle della ennesima diaspora ebraica. 6 Quando papa Woityla invoca il riconoscimento ufficiale nella Costituzione europea delle “radici cristiane dell’Europa”, ci si deve chiedere se il frutto di tali radici si trovasse nei libri distrutti in quanto simbolo della convivenza interetnica o nei cannoni purificatori di ogni sconveniente mescolanza. Sandro Boato
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