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Trento, 8 giugno 2012 Uscita dalla bocca di Serge Latouche, la riflessione gandhiana “il mondo è abbastanza grande da soddisfare i bisogni di tutti, ma non abbastanza per soddisfare l’avidità di pochi” potrebbe considerarsi una epigrafe del festival dell’economia – per l’apertura culturale, l’ottima organizzazione, la efficace partecipazione giovanile e femminile. Ma la drammatica realtà sociale odierna – tra debito pubblico e disoccupazione crescente, insufficienza e sfaldamento del ceto politico, tendenza dei giovani più preparati ad espatriare – fa avvertire crudamente l’ultradecennale ritardo con cui problemi a scadenza obbligata (come quelli ambientali segnalati dai protocolli di Kyoto o quelli di un riequilibrio dei redditi) siano stati ignorati. Superati i limiti dello sviluppo a causa dei paesi più ricchi (vecchi e nuovi) e dei padroni delle risorse esauribili a scala mondiale, ora la Terra non è più in grado di recuperare l’eccedente consumo, ovvero quello non riproducibile, non dà più certezza alle popolazioni autoctone in equilibrio con secolari ecosistemi forestali, oggi messi prepotentemente ‘sul mercato’, non può che subire l’incredibile massa di immondizie metalliche che ammorba la stratosfera in attesa di precipitare o che invade con maggiore varietà una parte consistente dell’oceano Pacifico. Più relatrici e relatori hanno mostrato una sensibilità accentuata rispetto al periodo ante-crisi. In qualcuna/o si avvertiva un riferirsi più o meno esplicito a un diverso modello di sviluppo e talvolta persino alla convivialità, alla deistituzionalizzazione degli apparati (Ivan Illich), al rifiuto dei bisogni indotti fino al lavorare meno e vivere lentius (Alexander Langer) cioè senza affanno e in una frugale abbondanza (ancora Latouche). Ma nell’insieme si è trasmessa una specie di ‘febbre dello sviluppo’ come antidoto alla disoccupazione. “Vorrei ma non posso” è il sottinteso che dipinge l’aspetto velleitario del convegno e che si proietta sulla vicenda politica italiana solcata da un ceto politico irresponsabile e impreparato e da una gerarchia ecclesiastica maschile ed anti-conciliare, schierata impudicamente a destra in misura elettoralmente determinante. Troppo grande è il divario tra umani non in grado di governarsi e una tecnologia che ci rende schiavi di falsi bisogni da lei stessa indotti. Nel 500 avanti Cristo ci fu una dura ‘disputa teologica’ sulle dighe tra confuciani e taoisti. Questi volevano lasciar scorrere i fiumi secondo natura, per non violentare l’ordine del cosmo. Quelli invece, fiduciosi nel governo degli uomini, invocavano grandi opere pubbliche per deviare i fiumi ed arricchire la società. Oggi il partito unico cinese ha deciso – senza confronto con la popolazione - per la seconda tesi. Così i grandi fiumi deviati per dare acqua alle città vedono svuotarsi i loro letti, inaridirsi l’agricoltura, sparire la pesca e non arrivano più al mare. La storia recente avrebbe potuto insegnare che il prosciugamento del Mare d’Aral (era la quarta riserva mondiale di acqua dolce) e la distruzione economica e sociale della sua regione sono dipesi dalla deviazione dei due fiumi che lo alimentavano. Simbolico ma inutile esempio della dipendenza dell’umanità dall’ecosistema Terra e della distruttività suicida di una economia senza limiti. Sandro Boato |
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