La voglio bella.
Il mito del Nord-Est e l'identità del Trentino
Cosa? La mia provincia, naturalmente. E la mia città, Trento.
La città “azzurra e silenziosa” come la chiamava Gabriele D’Annunzio.
La città che Albrecht Dürer ha voluto fermare sulla carta con un acquarello veloce. La città in cui si è tentata la strada della tolleranza tra Protestanti
e Cattolici. La città dipinta, velocemente descritta da Johann W. Goethe. La città che ha ospitato artisti superbi dal Romanino ad Adalberto Libera. La città che, affacciata su un fiume, ricordava Venezia. La città di cui l’imperatore Asburgo andava fiero. La città che ha saputo avere pudore. La città che ha resistito a Napoleone. La città che ha resistito al fascismo. La città che adesso non riesce a resistere al kitsch dilagante, all’urbanizzazione selvaggia, all’automobile. Piena di ex (ex Santa Chiara, ex Zuffo, ex Michelin, ex Sordomuti…) non riesce a trovare chi la prenda in sposa. Chi sappia fare scelte illuminate, coraggiose ma equilibrate. Chi la sappia conoscere e rispettare. E questa idea può essere tranquillamente estesa a tutto il Trentino.
Storicamente il nostro territorio non è la terra in cui l’uomo ha cercato di piegare la natura con grandi opere o con segnali chiari della sua superiorità. Se si escludono alcune eccezioni come la regimazione dell’Adige nell’Ottocento o la costruzione dei grandi impianti autostradali e idroelettrici nel Novecento, il rapporto tra abitanti del Trentino e il territorio si è sempre articolato in piccoli interventi puntuali e in una sapienza costruttiva sobria. Questo modo di rapportarsi con la natura spiega il perché il paesaggio sia arrivato fino a noi con le caratteristiche che esso ha, e spiega, credo, anche la sensibilità che in generale i trentini hanno nei confronti dell’ambiente e della natura in senso più ampio, il rapporto elettivo con la montagna, l’attrazione verso i luoghi incontaminati, l’insofferenza alla città caotica contemporanea. In questi ultimi decenni è venuto a mancare, per ragioni di ordine storico ed economico, questo equilibrio tra abitanti del territorio e necessità sociali. L’introduzione dell’autovettura di massa e più in generale l’avvento perentorio della Tecnica ha reso necessario un diverso modo di pianificare il territorio non più legato a necessità morfologiche e strutturali, ma al contrario succube di meccanismi di monetizzazioni e necessità viabilistiche. Ne consegue un chiaro scollamento fra il territorio presente nell’immagine degli abitanti e dei turisti e il territorio come effettivamente è.
Il Trentino è, oggi più che mai, alla ricerca di una identità: schiacciato tra il mito del Nord-est produttivo fatto di capannoni e centri commerciali e il mito del Tirolo fatto di tetti a capanna, giardini rocciosi e salotto con la stufa a olle, il nostro territorio fa sempre più fatica a trovare la forza delle radici per guardare al futuro.
Eppure, a ben guardare, c’è uno stile trentino, nel modo di fare come nel modo di costruire: un fare onesto e sobrio, operoso e silenzioso. C’è l’urbanistica dei nostri padri fatta di regole morfologiche, di rispetto per la montagna, di attenzione alla sicurezza idrogeologica. C’è l’architettura dei nostri padri che non va rinnegata né copiata ma riletta con una sensibilità moderna. C’è la socialità dei nostri padri, fatta di appuntamenti all’aria aperta, di giochi nel verde, di riti ancestrali, di Fede. Di equilibrio discreto con il Creato. La sostenibilità è nata in montagna. Là dove la vita è più difficile, dove la natura ha un aspetto più matrigno che altrove, l’uomo ha dovuto trovare un equilibrio produttivo con la natura. E’ un concetto moderno che i trentini hanno sempre posseduto.
In un momento in cui si grida alle grandi opere come la maniera di essere dell’uomo sul territorio, è necessario ritrovare gli atteggiamenti discreti, minimi e puntuali, dei nostri padri. Occorre ritrovare nella bellezza un indicatore per i nuovi interventi. Un territorio e una città belli creano cittadini migliori. Offrono occasioni di incontri sociali. Mantengono anziani attivi. Fanno crescere bambini sereni. Atteggiamenti che sono già incisi nel nostro dna e possono diventare un segno di attenzione nei confronti delle generazioni future non fatto di ingombranti opere, ma di rispetto; non di brutture periferiche, ma di bellezza. Questa discrezione può essere ritrovata nella valorizzazione dei rapporti di partecipazione tra cittadini e amministrazione pubblica, tra Università e amministrazione pubblica, tra giovani e amministrazione pubblica, tra anziani e amministrazione pubblica, rispondendo con sobrietà al caos della società attuale.
Alessandro Franceschini
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