Lucia Coppola - attività politica e istituzionale | ||||||||
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Comune di Trento
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Trento, 9 marzo 2009 8 marzo. Come ogni anno, per me, pensieri e riflessioni, sempre meno leggere, purtroppo. Sono tempi cupi, e non solo per le donne, e la speranza che qualcosa cambi in meglio lascia il posto all'amarezza e allo sconforto di un anno alle spalle pieno di cattivi eventi, di sofferenza, morte e sopraffazione. E anch'io, mio malgrado, devo fare i conti con questa violenza generalizzata che non si può più sottacere, che invade le cronache dei giornali e crea insicurezza e paura diffusa. Che non risparmia bambine e donne anziane, persone mature, ormai convinte di aver svoltato l'angolo, e adolescenti private della scoperta dell'amore fisico, della tenerezza e della complicità tipiche di questa età. Violate nel profondo dell'anima. Mai avrei voluto e pensato di scrivere un pezzo come questo in occasione della «Festa della donna», perché la mia indole ottimista e indomita mi porta sempre a vedere il lato migliore delle cose, le conquiste piuttosto che le battute d'arresto. Non stavolta. Non quest'anno. E da adulta responsabile, da madre, da insegnante, da donna impegnata in politica non posso non riflettere sulla responsabilità che il mondo adulto in genere, che padri, madri, educatori hanno nei confronti di questi giovani sperduti, del branco che non ha pietà, di queste giovani donne piegate e violate solo in ragione della brutalità e dell'uso della forza. Ripercorro questi miei anni, che sono ormai tanti, da insegnante. Io non ho mai lasciato correre nella relazione di genere tra bambine e bambini, non ho mai permesso che si perpetrassero le piccole grandi sopraffazioni di cui anche i piccoli sono capaci. Perché il rispetto si insegna da subito, nelle famiglie innanzitutto, nei rapporti tra fratelli e sorelle per garantire a ciascuno pari dignità, pur nelle differenze che, fortunatamente, ci caratterizzano. E poi viene la scuola. Devo dire che già in bambini di prima elementare si riscontrano da subito gli atteggiamenti da bulletto, la presa in giro della compagna cicciottella, di quella con gli occhiali, di quella impacciata o timida. Il senso di superiorità che viene fuori da gesti e parole e che consente ad ogni insegnante di capire il tipo di educazione familiare, più o meno maschilista, in che modo si valutino le donne. Quel senso di superiorità, le parole tese a ferire o a sminuire, destinate a degenerare nel tempo in veri e propri atti di violenza, vanno stroncati da subito e non necessariamente in modo autoritario e punitivo. È importante stigmatizzarli, chiamarli con il loro nome sostenendo la parte lesa, è importante mantenere un dialogo aperto, "tirare fuori" i problemi, le difficoltà, mettendo a confronto i loro mondi bambini, che sovente sono fragili anche al maschile, supplendo quando serve alle carenze affettive e di educazione, chiamando in causa le famiglie. Le bambine, allora, cominciano a lavorare sull'autostima e a prendere coscienza del loro valore, si aprono, discutono, fanno sentire le proprie ragioni. Prendono coraggio e imparano a farsi rispettare con la forza delle idee. È un lavoro paziente che va portato avanti nel tempo, in tutti gli ordini di scuola: si tratta di educare ai sentimenti, all'affettività e anche alla sessualità. Perché troppi tra questi nostri ragazzi sono incapaci di chiedere amore nella maniera giusta e di darne nella maniera giusta. Dunque, se questo avviene, significa che qualche passaggio è saltato e il mondo degli adulti deve farsene carico e riflettere su quanto sta accadendo nel nostro paese. Sul perché la morte violenta è la prima causa di decesso per le donne, sul perché il 60% delle violenze maturino in ambiti familiari, parentali o di amicizie molto vicine. Sul perché sono a volte ragazzini di famiglie bene, non deprivate culturalmente e senza problemi economici o di integrazione sociale, a macchiarsi di delitti ignobili nei confronti delle loro compagne. (Evito qui di affrontare le violenze, che pure ci sono, da parte di stranieri, maturate nel degrado culturale e umano, nella mancata integrazione e nell'assenza della certezza della pena propria del nostro paese. Che non vale solo per loro). Sul perché le madri di cotanti figli ancora li difendano: perché certo le ragazzine li avevano provocati con le loro minigonne succinte o erano ubriache e, in ogni caso, poco serie. Ecco, finché in Italia avremo queste madri, difficilmente le relazioni tra i sessi potranno cambiare nei termini di un reciproco rispetto, accettazione, condivisione. Chiamo in causa la scuola, dunque, che può e deve fare di più. E la famiglia che deve educare ragazzi responsabili e consapevoli, che considerino la vita umana come sacra e inviolabile, che vedano nelle loro compagne non una facile preda ma qualcuno di importante con cui confrontarsi, con cui magari intessere rapporti d'amore. E ragazze solide, consce della propria femminilità, del valore delle proprie peculiarità, pronte a tutelarsi e a difendersi, a non svendersi mai: per un'illusione fasulla, per un "amore" che forse non è tale, per un amico che alla prima occasione si trasforma in un incubo. Per contro, si deve combattere per averlo, quell'amore vero e buono, nella dignità, nella dolcezza e nella tenerezza, nella passione che deve accompagnare ciascuna di noi, così unica e preziosa, dalla nascita alla vecchiaia. Con dignità. Con rispetto. Con gioia. Non smettiamo di credere che, nonostante tutto, anche per le donne un mondo migliore è possibile. E, nonostante il dolore, non rassegnamoci e facciamo la nostra parte nei luoghi della nostra vita, a casa, sul lavoro, con coloro che amiamo: padri, mariti, figli e figlie. Nella società. Senza paura. Auguri, di cuore, a tutte. Lucia Coppola
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LUCIA COPPOLA |
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