Roberto Bombarda - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||||||||||||||
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Trento, 6 ottobre 2006 Per poter capire le complesse problematiche che regolano la gestione faunistica del capriolo risulta importante fare una serie di premesse. In primo luogo è estremamente difficile, se non impossibile, censire in modo assoluto una popolazione di capriolo. I censimenti sono comunque molto importanti per valutare il trend in crescita o in calo della popolazione ed i numeri espressi devono essere presi con molta cautela e mai strumentalizzati. Se nel 2002 erano stati censiti in provincia di Trento 31519 caprioli e nel 2005, usando gli stessi criteri, ne sono stati censiti 24117 non potremmo mai essere sicuri che sul territorio ci sia quel numero esatto di animali, ma è corretto ritenere che la popolazione si sia ridotta di circa il 24%. Difficile è valutare le cause che hanno contribuito a questo vistoso calo; normalmente quando una popolazione di animali cala di numero esistono diverse concause che interagiscono tra loro in vario modo ed è facile che ognuno cerchi di addossare le colpe a qualcun altro invece di assumersi le proprie responsabilità. Da parte del mondo venatorio sarebbe invece una grande forma di responsabilità fermarsi un attimo a riflettere invece che addossare le colpe di questo calo agli inverni rigidi degli ultimi anni. Incolpare l’inverno è sbagliato, in quanto analizzando il calo della consistenza della popolazione del capriolo nelle varie zone del Trentino ci accorgiamo che le zone poste più a sud, perciò quelle più temperate, sono quelle in cui si sono verificati i maggiori cali. Se la causa predominante fosse stato l’inverno rigido sarebbe invece logico riscontrare cali maggiori nelle zone più fredde, con maggior innevamento e con una minore potenzialità alimentare. Il capriolo non può essere definito oggi “specie a rischio di estinzione”, ma ci sono dei segnali evidenti che questa specie vive un momento di crisi. Crisi, non solo quantitativa, ma anche qualitativa. La prima più evidente, ma anche più facile da risolvere: la chiusura della caccia per pochi anni riporterebbe in breve tempo la consistenza della popolazione di caprioli su valori più elevati. Gia alcune sezioni di caccia, dimostrando grande maturità, accortesi di quanto stava accadendo, hanno autosospeso la caccia al capriolo sul territorio di loro competenza. Un solo anno di sospensione è stato sufficiente ad invertire la tendenza e già in questi territori si è iniziato a vedere un incremento della consistenza numerica. Un plauso a questa iniziativa e un augurio, attraverso un attenta autogestione del territorio, di ritornare ad avere un numero di caprioli tale da soddisfare sia chi vuole godere della loro presenza, sia la loro consapevole attività venatoria. La crisi qualitativa è invece meno evidente, ma più pericolosa e molto più difficile da risolvere. In tutte le specie animali i soggetti più forti sono quelli che riescono a riprodursi e così trasmettere alle generazioni future il miglior patrimonio genetico per il mantenimento ed il miglioramento delle caratteristiche genetiche. Per ovvie ragioni i cacciatori hanno da sempre preferito sparare ai capi più belli, più forti, più grossi, con il trofeo più bello impedendo di fatto a questi di riprodursi e lasciando perciò tale importante momento di mantenimento della specie a soggetti più deboli. Adesso ne stiamo pagando le conseguenze: il peso medio è calato, la morfologia è peggiorata, risultano più sensibili alle malattie ed agli inverni rigidi, la popolazione è squilibrata per classi di età. I soggetti adulti e belli sono una percentuale ormai irrisoria sul totale della popolazione. Entrando nelle “caneve” dei cacciatori, dove sulle pareti sono in bella mostra tutti i trofei (corna) dei caprioli abbattuti, osservando questi con attenzione si possono fare delle importanti considerazioni. La qualità dei trofei è in continuo e graduale peggioramento e questo è lo specchio del continuo e graduale peggioramento delle caratteristiche morfologiche del singolo animale e dell’intera popolazione. Vediamo dei bellissimi e forti trofei di animali abbattuti negli anni or sono e pensiamo a quanto patrimonio genetico non si è potuto trasmettere. Alle mostre vengono premiati i trofei più belli, sarebbe giunto il momento di premiare i trofei più scadenti ed incentivare anche in questo modo una vera caccia di selezione tendente ad abbattere solamente i soggetti più deboli. Sarebbe però estremamente riduttivo incolpare esclusivamente i cacciatori di questo stato di cose; forse loro sono stati gli esecutori materiali degli abbattimenti, ma risulta chiaro che usciamo da un piano di gestione del capriolo che si è dimostrato insoddisfacente ed è giusto che tutti si assumano le proprie responsabilità. Nel 2003 furono assegnati da abbattere 9318 capi, ne furono abbattuti 7439; nel 2004 furono assegnati 7301 capi, ne furono abbattuti 4374, ben 3000 in meno di quanto assegnato. Senza soffermarci troppo sulle cause di questi mancati abbattimenti, dovuti in parte ad una supervalutazione da parte dei servizi della reale consistenza della popolazione sia da una autoregolazione da parte del mondo venatorio, dovrebbe portarci ad una semplice considerazione: se tutti i capi assegnati in questi ultimi anni fossero stati legittimamente abbattuti la situazione attuale del capriolo sarebbe certamente drammatica. Il WWF ha chiesto, tramite il dottor Alessandro de Guelmi, medico veterinario esperto in gestione della fauna selvatica e rappresentante del WWF in seno al Comitato Faunistico della PAT non per demagogia, ma suffragato da una serie di motivazioni tecniche, la chiusura, o perlomeno una drastica e selettiva riduzione della caccia al capriolo. Se ci fosse stata demagogia il WWF avrebbe chiesto pure la chiusura della caccia al camoscio o al cervo, cosa che non è stata fatta in quanto in questo momento queste due specie godono in generale di uno stato di buona salute. Si ritiene comunque indispensabile per il raggiungimento di una corretta gestione faunistica del capriolo aprire un aperto confronto tra la componente venatoria, il mondo ambientalista ed il Servizio faunistico della provincia al di sopra di qualsiasi forma di demagogia e strumentalizzazione. Ciò premesso il Consiglio impegna la Giunta provinciale 1. ad avviare una serie di indagini scientifiche, in collaborazione con i più autorevoli ed indipendenti istituti specializzati nel campo della ricerca faunistica, per comprendere le cause del calo della consistenza numerica e del peggioramento della popolazione di caprioli in Trentino, anche al fine di individuare soluzioni gestionali ottimali per i prossimi anni; 2. a promuovere un aperto confronto tra il Servizio faunistico della Provincia, le associazioni ambientaliste e le associazioni rappresentative del mondo venatorio, al fine di stabilire nuove modalità per il prelievo del capriolo, considerando la possibilità di sospendere la caccia all’ungulato, anche limitatamente ad alcuni areali od ad alcuni periodi, in considerazione della crisi che sta attraversando questa specie. Cons. prov. dott. Roberto Bombarda
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