Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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La lettura di questo libro, curato con amore e con devozione filiale alla memoria del cardinale Capovilla dal suo segretario Ivan Bastoni, costituisce una occasione eccezionale per la conoscenza dei molti aspetti della personalità umana e religiosa di un autentico servitore della Chiesa e del Vangelo. Ognuna delle trentacinque testimonianze che Bastoni ha sollecitato e raccolto aiuta infatti a conoscere altrettanti aspetti della figura del sacerdote, vescovo e cardinale Loris Capovilla, nelle diverse fasi della sua vita centenaria e dai più diversi punti di vista, religiosi e laici. Molte altre se ne potranno aggiungere nel prossimo futuro e “a futura memoria”. Per questo è utile, in questa introduzione, ripercorrere sinteticamente le tappe della sua esistenza, sulle quali gettano una luce vivida una dopo l’altra le molteplici testimonianze qui pubblicate, la cui lettura lascerà un segno profondo e commosso sia in chi l’ha conosciuto nell’arco degli anni e spesso dei decenni, sia in chi coglierà questa occasione per imparare a conoscerlo per questa via “postuma”, pur non avendolo incontrato personalmente in vita. Don Loris Capovilla, il segretario particolare (e “contubernale”) di Papa Giovanni XXIII, era stato “creato” cardinale da Papa Francesco nel concistoro del 22 febbraio 2014, quando aveva novantotto anni. Era nato il 14 ottobre 1915 e la sua morte è avvenuta a cento anni, sette mesi e dodici giorni, il 26 maggio 2016, alle ore 14,45 nella casa di cura Palazzolo di Bergamo, dove era stato ricoverato il precedente 8 aprile per una complicazione polmonare. Nel gennaio 2014, dopo l’inatteso annuncio all’Angelus del 12 gennaio da parte di Papa Francesco della sua decisione di nominarlo cardinale, e nell’ottobre 2015, in occasione del suo centesimo compleanno, sulle pagine di un quotidiano l’avevo pubblicamente definito “testimone vivente dell’era giovannea”. Quando nel marzo 1953 l’appena nominato (da parte di Pio XII) cardinale e patriarca di Venezia Angelo Roncalli, proveniente dalla nunziatura di Parigi, decise di scegliere come proprio segretario particolare quel giovane prete (trentasette anni), di grandi qualità ma con qualche problema di salute, il vicario capitolare di allora, monsignor Erminio Machatzek, gli disse: «Eminenza, è un buon prete, bravo, non gode però di buona salute e avrà vita breve». Il cardinale Roncalli gli rispose benevolmente: «Be’, se non ha salute, verrà con me e morirà con me». Eravamo nel 1953 e Capovilla è arrivato in piena lucidità mentale a superare il secolo di vita, e probabilmente sarebbe ancora vissuto se non fosse incorso in una banale malattia di stagione, purtroppo compromettente a quell’età. Fino all’ultimo ha avuto una memoria prodigiosa: «è questo il mio computer», rispondeva ironicamente, indicando la propria testa, a chi negli anni precedenti gli suggeriva di cominciare ad abbandonare la sua vecchia macchina da scrivere (ma il suo segretario Ivan Bastoni gli è stato sempre più vicino, nella sua assidua e diuturna collaborazione, anche con l’ausilio informatico). Il percorso della sua vita ecclesiale da Venezia l’ha portato al Vaticano, con Giovanni XXIII e poi con Paolo VI (che lo nominò anche perito conciliare), quindi a Chieti (dopo essere stato consacrato arcivescovo) dal 1967 e da ultimo — nominato il 25 settembre 1971 — divenne delegato pontificio al santuario di Loreto. Ritiratosi prima nel 1988 ad Arre (dove nel padovano c’è un nucleo parentale dei Capovilla) e poi verso la fine del 1989 a Sotto il Monte, non ha mai cessato di leggere, scrivere, studiare, pregare, con una intensità strabiliante di relazioni non solo in Italia e in Europa, ma in tutto il mondo. Questo volume di testimonianze ne è esso stesso una prima documentazione, carica di amore e di fedeltà. Accoglieva con la stessa dignità e disponibilità tanto sacerdoti, vescovi e cardinali, ambasciatori, personalità politiche e docenti universitari, quanto le persone più semplici e umili che gli rendevano incessantemente visita, memore delle sue radici familiari e delle difficoltà economiche tra la povera gente (suo padre Rodolfo mori il 26 maggio 1922, quando lui aveva appena sei anni: e don Loris, il cardinale Loris Francesco Capovilla, è morto in quello stesso 26 maggio). Con grande umiltà era attento alle vicende della Chiesa cattolica, ma anche, nello spirito ecumenico giovanneo e conciliare, alle altre Chiese cristiane e alle altre religioni. Era in dialogo con uomini credenti, cristiani e di tutte le fedi, ma anche, con la massima apertura, con uomini che io una volta definii con lui “non credenti”, quando benevolmente mi corresse: «Sono piuttosto persone in ricerca». La nomina a cardinale, con il titolo di Santa Maria in Trastevere, presso la quale ha sede anche la Comunità di Sant’Egidio (con la quale ha avuto intensi rapporti), non aveva cambiato in nulla le sue abitudini e anche il suo modo dimesso e semplice di vestire, salvo il giorno della solenne consegna della berretta cardinalizia da parte del cardinal Sodano il 10 marzo 2014 a Sotto il Monte. Quella scelta di Papa Francesco aveva davvero rappresentato uno speciale riconoscimento (a 98 anni!) del suo ruolo a fianco di Papa Giovanni XXIII (che lo stesso Francesco avrebbe portato, pochi mesi dopo, alla canonizzazione), fino al Concilio Vaticano II e all’enciclica “Pacem in terris”, ancor oggi di grandissima attualità. Loris Capovilla, oltre al suo impegno pastorale ed episcopale, ha dedicato tutta la sua vita a custodire e a far conoscere sempre più la memoria di Papa Roncalli. Ha collaborato anche con istituzioni, fondazioni (a Bologna e a Bergamo), gruppi di storici (in particolare quelli legati a Giuseppe Alberigo), che l’hanno riconosciuto come l’«evangelista di Papa Giovanni», quale lo definì per la prima volta nel 2000 don Andrea Spada, l’antico direttore de «L’Eco di Bergamo». E con questa espressione ha intitolato un vasto e documentato saggio su di lui lo storico Enrico Galavotti, della «Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII», autore anche di un ampio volume sul suo esemplare, ma non facile episcopato a Chieti («Il pane e la pace. L’episcopato di Loris Francesco Capovilla in terra d’Abruzzo», Textus Edizioni, L’Aquila 2015). Ora Loris Capovilla, come ha lasciato scritto nelle sue disposizioni a Ivan Bastoni, suo esecutore ed erede testamentario, dal 30 maggio 2016 è sepolto «nella nuda terra» nel piccolo cimitero di Fontanella di Sotto il Monte, a pochi metri dalla semplice tomba di padre David Maria Turoldo, con cui fu legato da grande stima e amicizia reciproche. Dopo che Loris Capovilla ha dedicato tutta la sua vita a Papa Giovanni, ora bisogna fare uscire dall’ombra della sua riservatezza e umiltà («mettere il proprio io sotto i piedi», ripeteva sempre con Papa Roncalli) questa straordinaria figura di cardinale, vescovo e sacerdote, ma soprattutto di uomo buono e giusto, che dell’umiltà e del dialogo ha fatto la dimensione spirituale di tutta la sua vita. E questo volume è davvero un prezioso contributo “a più voci”, quasi una sorta di coro polifonico, in questa direzione di testimonianza, di studio e di ricerca. Loris Francesco Emilio Capovilla (questi i suoi nomi, anche se per molti anni da sacerdote si fece chiamare solo “don Loris” e poi, da vescovo e cardinale, si firmò “Loris Francesco”) nacque il mattino del 14 ottobre 1915 a Pontelongo (Padova), anche se dagli anni quaranta in poi venne sempre definito “prete veneziano” (perché incardinato nella diocesi di Venezia). Di famiglia modesta, figlio di Letizia Callegaro e di Rodolfo Capovilla, il padre, reduce dalla prima guerra mondiale con la salute compromessa, morì il 26 maggio 1922, quando Loris aveva solo sei anni. Per la vedova e i due figli, Loris e la sorella Lia, iniziò un periodo di grave precarietà e di peregrinazioni, sino all’approdo definitivo a Mestre nel 1929. Entrato nel seminario patriarcale di Venezia, viene ordinato sacerdote il 23 maggio 1940 dal cardinale Adeodato Piazza. Giovane prete, è subito attivo nel patriarcato: cooperatore nella parrocchia di San Zaccaria, in curia, nella basilica di San Marco, oltre che insegnante di religione all’istituto tecnico “Paolo Sarpi”, cappellano degli operai a Porto Marghera, del Centro rieducazione minorenni e all’Ospedale degli infettivi. Nel 1942-43 è cappellano militare di aviazione all’aeroporto di Parma, oltre che direttore spirituale del seminario minore e collaboratore della Fuci e della Gioventù di Azione cattolica della città. Dopo l’8 settembre riesce eroicamente a sottrarre una decina di avieri all’internamento in Germania, azione per cui gli venne poi conferita la “croce al merito”. Rientrato a Venezia nel dicembre 1943, viene nominato cappellano di fabbrica, vice “presbyter” del «Collegium Tarsicii» e vice assistente della Gioventù maschile di Azione cattolica. Nel 1945 il cardinale Piazza lo designa predicatore domenicale a Radio Rai di Venezia, ministero protratto fino al 1953 (a cura di Ivan Bastoni, sono stati pubblicati molti testi dei suoi commenti al Vangelo col titolo «Predicate il Vangelo ad ogni creatura», Corponove, Bergamo 2014). Nel 1949 il nuovo patriarca Carlo Agostini lo nomina direttore del settimanale diocesano «La Voce di San Marco» e redattore della pagina veneziana dell’ «Avvenire d’Italia» (per questo si iscrive dal 1950 all’albo dei giornalisti). È anche insegnante di religione al liceo scientifico «G.B. Benedetti». La svolta della sua vita sacerdotale si verifica nel marzo 1953, allorché il nuovo patriarca, cardinale Angelo Giuseppe Roncalli, lo sceglie quale segretario particolare, fino al 1958, quando il 28 ottobre Roncalli viene eletto Papa col nome di Giovanni XXIII e lo conferma la sera stessa in quella delicatissima funzione al suo fianco. Loris Capovilla si autodefinisce spesso anche suo “contubernale”, come aveva fatto il giovane sacerdote Roncalli quando era stato segretario del vescovo di Bergamo, Giacomo Maria Radini Tedeschi. Furono altri cinque anni di collaborazione strettissima, ma altrettanto discreta e riservata, con Papa Roncalli, che lo aveva anche nominato suo esecutore testamentario. Furono gli anni dell’annuncio, della preparazione e della iniziale celebrazione del Concilio ecumenico Vaticano II (dall’11 ottobre 1962), oltre che delle encicliche «Mater et magistra» e soprattutto «Pacem in terris» (11 aprile 1963, a meno di due mesi dalla morte), che ebbe una risonanza mondiale, particolarmente dopo la crisi dei missili di Cuba dell’ottobre 1962. Dopo la morte di Giovanni XXIII, il 3 giugno 1963, e dopo l’elezione di Papa Montini, Paolo VI lo conferma prelato d’anticamera come “cameriere segreto partecipante” e l’8 febbraio 1964 lo nomina anche perito conciliare. E questo forte rapporto col nuovo Papa è particolarmente significativo, se si tiene conto che lo stesso Giovanni XXIII, incontrando il sostituto della Segreteria di Stato monsignor Angelo Dell’Acqua pochi giorni prima della propria morte e conoscendo i meccanismi della curia vaticana, gli aveva detto: «Chiusi gli occhi del Papa, il segretario farà le valigie». Il 26 giugno 1967 Paolo VI annuncia la sua nomina ad arcivescovo di Chieti e Vasto e lo consacra personalmente il 16 luglio 1967. Il 25 settembre 1971 Paolo VI lo nomina infine delegato pontificio del santuario di Loreto, divenendo “il vescovo dei pellegrini”. Chiese al Papa di poter assumere il titolo arcivescovile di Mesembria (Bulgaria), lo stesso di cui Roncalli era stato insignito nel 1934, titolo che Capovilla ha sempre mantenuto fino alla nomina a cardinale. Nel 1989, dopo un breve periodo ad Arre (Padova), si ritira a Sotto il Monte, nella casa-museo di Papa Giovanni XXIII, Camaitino, dove per ventisette anni, fino alla morte, continua la sua missione sacerdotale, episcopale e pastorale, coltivando una vastissima rete di contatti e continuando a custodire e a diffondere la memoria di Papa Roncalli, come emerge in modo mirabile dalle testimonianze pubblicate in questo volume. Il 12 gennaio 2014 Papa Francesco annuncia la sua nomina a cardinale, che viene ufficializzata nel concistoro del 22 febbraio 2014, col titolo di Santa Maria in Trastevere. Fino alla sua morte, è stato il più anziano cardinale della Chiesa cattolica. In precedenza aveva avuto riconoscimenti da più parti, a testimonianza della stima e dell’affetto che lo circondavano. Cittadino onorario di varie città italiane, tra cui Bergamo e in particolare di Chieti, a cui è rimasto legato per tutta la sua vita successiva (scrivendo agli abruzzesi, si firmava «Loris Francesco Capovilla, ‘olim pater, semper amicus’», un tempo padre, sempre amico). Numerose le onorificenze di cui è stato insignito, fra tutte la Legion d’onore francese e il titolo di «Giusto fra le nazioni». Nel 2010 gli era stato conferito il dottorato “honoris causa” in scienze storiche dall’Istituto europeo dell’Accademia russa delle scienze e nel 2013 la medaglia della Fondazione Wallenberg per aver diffuso e testimoniato il pensiero giovanneo in questi ultimi decenni. Particolarmente significativa la lunga e commossa telefonata augurale che, la mattina dei suo centesimo compleanno, il 14 ottobre 2015, gli ha fatto dal Quirinale il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Fra le molte opere che, dopo la morte di Giovanni XXIII, ha curato e pubblicato è sufficiente indicare alcuni titoli fra gli altri: «Il Giornale dell’anima», «Lettere ai familiari», «Lettere 1958-1963», «Pur che l’alba nasca», «Giovanni e Paolo due Papi», «Volto d’Angelo», «Papa Giovanni un secolo», «L’Ite missa est di Papa Giovanni», la trilogia «Questo è il mistero della mia vita» e «Lettere di fede e di amicizia» (tra Roncalli e Montini, curate con Marco Roncalli) oltre alle sue letture pubbliche su Roncalli (iniziate ancora prima della morte), via via aggiornate e implementate, fino a «Giovanni XXIII. Quindici letture». A tutto ciò vanno aggiunti molti opuscoli, articoli in quotidiani, settimanali e riviste, numerosissime interviste, anche televisive. È significativo che molti anni dopo, il 21 maggio 2011, quando l’arcivescovo Loris Capovilla aveva ormai quasi novantasei anni, il cardinale Carlo Maria Martini, già seriamente malato, lo incontri a Gallarate e gli dica: «Dio le conceda lunga vita, perché lei continui a parlarci di Papa Roncalli, anzitutto dell’ispirata decisione di convocare a Concilio tutto il mondo». E così davvero egli continua a fare per altri cinque anni, fedele anche al monito del cardinal Martini, del quale aveva una enorme stima e ammirazione. Loris Capovilla è universalmente conosciuto come l’antico segretario (non si è mai considerato “ex”, fino alla morte) di Giovanni XXIII, per l’instancabile impegno nel custodire la sua memoria e i suoi scritti, anche quelli precedenti al patriarcato e al papato e tutti quelli, a cominciare da «Il Giornale dell’anima», che furono gradualmente da lui resi noti solo dopo il 3 giugno 1963 (per esplicita volontà di Papa Giovanni). Papa Francesco, nella telefonata che gli fece nella primavera 2013 (il 10 aprile, lunedì di Pasqua), poco dopo la sua elezione, oltre ad avergli parlato a lungo di Papa Giovanni, gli disse personalmente: «Monsignor Capovilla, lei è molto conosciuto anche in America Latina». Eppure, la sua figura umana e sacerdotale, e poi episcopale, pur nel programmatico nascondimento della propria persona («mettere il proprio io sotto i piedi»), emerge anche con forza nella sua autonomia, nella sua identità culturale e spirituale. Del resto, se il patriarca Roncalli nel 1953 lo volle scegliere senza esitazione come proprio segretario particolare a Venezia, confermandolo nel 1958 in Vaticano, è proprio perché individuò in lui la personalità ecclesiale più in sintonia con la sua dimensione pastorale. Fin da giovane prete e poi sempre più, Loris Capovilla, prima ancora di conoscere e incontrare Roncalli, aveva dimostrato una mentalità aperta al dialogo e al rispetto di tutti, vicini e “lontani”, come si diceva allora. Era fin dall’inizio interamente dentro la storia, la tradizione, la teologia della Chiesa, ma concependo questa tradizione non in modo “mummificato”, non in modo chiuso “con i ponti levatoi alzati”. Aveva fin da giovane prete la capacità di concepire l’apertura della Chiesa verso il mondo e la società contemporanea, con il coraggio di innovare, individuando evangelicamente i “segni dei tempi”. Quando conobbe il patriarca Roncalli, questi gli ricordò più volte il monito che a lui stesso, giovane segretario, aveva rivolto il vescovo di Bergamo Giacomo Maria Radini Tedeschi: «Don Angelo, il cuore crocifisso e il sorriso sulle labbra: ricordatelo, per fare il prete bisogna pensare in grande e guardare alto e lontano». Prima ancora di conoscere questo monito, Loris Capovilla fin dagli anni quaranta seppe pensare in grande e guardare alto e lontano. Nella prefazione ai citati commenti di Loris Capovilla al Vangelo per Radio Rai Venezia del 1945-1946 (pubblicati nel 2014), il cardinal Angelo Comastri ha scritto: «Ho letto queste pagine scritte tanti anni fa, all’indomani della fine della seconda guerra mondiale, quando l’Italia era un cumulo di macerie e tentava i primi passi della ricostruzione materiale e morale. Sapete quale è stata la sorpresa? Queste riflessioni sono sorprendentemente attuali e gettano vivida luce sul nostro faticoso presente». In quei commenti era già presente la lezione della misericordia, con la quale Capovilla si ritrovò poi in piena sintonia con Roncalli e, negli ultimi tre anni della sua vita, con Papa Francesco, in cui gli parve di rivivere (e lo scrisse pubblicamente) la testimonianza pastorale di Papa Giovanni. Nell’introduzione allo stesso volume, il curatore Ivan Bastoni ha scritto: «In queste pagine è racchiusa la personalità, la passione pastorale dell’uomo e del sacerdote, fin dalla giovinezza». E ancora, collegando quelle antiche testimonianze di dialogo a tutto il resto della sua vita: «Conoscitore di uomini, ha accolto e accoglie con rispetto e amicizia, sapendo parlare a ciascuno. Chiunque l’ha avvicinato, anche per un breve colloquio, ne conserva ricordo indelebile. La sua vita è punto di incontro continuo, quasi fontana del villaggio a cui tutti possono attingere, per un attimo di sollievo e il ristoro di un sorso d’acqua. Dai primi giorni di sacerdozio, sino ad oggi, ha saputo dispensare amicizia e misericordia». Prima, durante e dopo Papa Giovanni, la sua cultura e la sua spiritualità si arricchiranno, con nuove letture e nuovi incontri, ma restando fedeli a se stesse. Basti ricordare alcuni dei nomi che man mano emergeranno nel corso della sua vita, tra i molti conosciuti personalmente e i nomi di autori del passato, ricorrenti nei suoi innumerevoli scritti: don Primo Mazzolari e padre David Maria Turoldo, don Andrea Spada e Giuseppe Lazzati, fra Carlo Carretto e fra Arturo Paoli, Alcide De Gasperi e Amintore Fanfani, Aldo Moro e Vittorio Bachelet, Giorgio La Pira e Giuseppe Dossetti, don Giuseppe De Luca e lo scultore Giacomo Manzù, Pierre Theilard de Chardin e François Mauriac, Thomas Merton e Henri De Lubac, i cardinali Dalla Costa, Bea, Dell’Acqua, Montini (poi Paolo VI), Pavan, Testa, König, Lercaro, Marty, Suenens, Ratzinger (poi Benedetto XVI), Comastri, Schönborn, Martini (e molti altri), Henri-Dominique Lacordaire e Georges Bernanos, i vescovi Hélder Câmara, Tonino Bello, Alessandro M. Gottardi, Luigi Bettazzi, Bruno Forte, Matteo Zuppi (e molti altri),Jacques Maritain e Emmanuel Mounier, l’Abbé Pierre e Jean Guitton, don Giovanni Rossi e Bernhard Häring, Antonio Rosmini e Tommaso Gallarati Scotti, Blaise Pascal e Alessandro Manzoni, Riccardo Bacchelli e Luigi Baldacci, Charles Péguy e Edmond Rostand, Dag Hammarskjöld, don Lorenzo Milani e padre Ernesto Balducci, Arturo Carlo Jemolo e Diego Fabbri, Divo Barsotti e Carlo Bo, Luigi Sturzo e Ignazio Silone, Yves Congar e Roger Schutz (della Comunità di Taizé), Dietrich Bonhoeffer e Romano Guardini, il Mahatma Gandhi e Mikhail Gorbaciov (incontrato personalmente a Bergamo), Madeleine Delbrêl e Martin Buber, Ehe Wiesel e Elio Toaff, Léon Bloy e Antoine de Saint-Exupéry, Nikolaj Gogol’ e Boris Pasternak, John Henry Newman e T.S. Eliot, Ernst Wiechert e Paul Ricoeur, Walter Kasper e Hans Urs von Balthasar, Raniero La Valle e Giancarlo Zizola, Adriano Sofri, Alexander Langer e Alex Zanotelli, Giuseppe Alberigo e Alberto Melloni, Gianni Gennari e Franco Schepis, Hermann Hesse e Guido Ceronetti, il priore Enzo Bianchi (della Comunità di Bose), padre Marco Malagola (antico segretario del cardinal Dell’Acqua) e suor Primarosa Perani (delle Suore delle Poverelle, che collaborò con Roncalli e poi con Capovilla dal 1953 fino alla morte, nel 2012, alla quale Capovihla fu legatissimo). Sono nomi elencati quasi “alla rinfusa” (e ne mancano davvero molti altri), ma dietro ciascuno dei quali c’è nella vita di Loris Capovilla o unaconoscenza personale e diretta oppure molteplici letture e citazioni nei suoi scritti, senza barriere ideologiche, dogmatismi teologici e riserve mentali, fermo nella fedeltà ai Vangelo e aperto sempre a nuovi incontri e a nuovi dialoghi. Molti di questi nomi ricorrono significativamente an che nelle testimonianze contenute in questo libro. «Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio», ripeteva con Papa Giovanni. Rifiutava i “profeti di sventura”, che Roncalli aveva stigmatizzato nel discorso di apertura dei Concilio l’11 ottobre 1962. Preferiva la “medicina della misericordia” e con lui ha ripetuto fiducioso, fino ai termine della sua vita, «Tantum aurora est», siamo appena all’inizio. Di tutto questo viene data piena e appassionante documentazione nelle testimonianze raccolte da Ivan Bastoni in questo volume, che permette di ricostruire molti passaggi delia vita di Loris Capovilla attraverso l’esperienza di sacerdoti e laici, vescovi e storici, religiosi e diplomatici, che l’hanno conosciuto, stimato e soprattutto amato nel corso del suo percorso centenario. È una lettura coinvolgente e commovente, che comincia a far comparire molti di quegli aspetti della esemplare vita di Loris Francesco Capovilla che lui faceva di tutto per tenere riservati, all’insegna dell’umiltà che ha caratterizzato tutta la sua esistenza. Questo è un libro dove si capisce ancor meglio quanto Capovilla abbia dedicato tutto se stesso a studiare e a far conoscere universalmente la figura e la santità di Papa Giovanni XXIII, fino alla canonizzazione nel 2014 da parte di Papa Francesco. E anche quanto pervadente sia stata la sua stessa santità “nascosta”, che forse un giorno la Chiesa saprà e vorrà far riemergere anche ufficialmente da questo suo “nascondimento”, ma che, d’altra parte, i tanti che l’hanno conosciuto e amato (da lui sempre riamati) sanno già silenziosamente e intimamente riconoscere.
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MARCO BOATO |
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